Brentano afferma che il concetto del bene è sì ricavato per astrazione da un’esperienza; ma, egli aggiunge, si tratta dell’esperienza (della coscienza, che è autocoscienza) di un nostro sentire. Il che significa – ecco la novità, rispetto a quanto già sappiamo – che l’esperienza non è diretta esperienza di un preteso contenuto obiettivo consistente nella qualità “bene”. Un tal tipo si esperienza coglierebbe solo un bene singolo, l’esser buono di qualcosa in particolare, e non sarebbe possibile dire, su questa base, che tutto un certo tipo di atti è buono.
L’esperienza, invece, è esperienza del sentimento di ciò che è buono; ora, questo sentimento si riferisce ad un concetto (che coglie l’universale), esso è relativo ad un determinato tipo di attività (e non solo ad una singola attività, anche se noi cogliamo inizialmente solo individui, ed i concetti li formiamo per astrazione).
Il sentimento del bene, quindi, è un sentimento che coglie in un singolo atto la bontà di tutto un tipo di atti, dei quali quel singolo è individuazione. Con questo discorso – è appena il caso di rilevarlo – si viene insieme a sottolineare che il bene è universale.
Da quanto abbiamo esposto, risulta, se vogliamo riassumere in una formula la posizione di Brentano, che questa ultima può essere definita intuizionistica (di un intuizionismo tipico, fondato sulla capacità rivelativa del bene propria di un sentimento), ma non empiristica: l’empirismo non potrebbe certo concedere che si colga immediatamente il valore, visto nella sua universalità.
M. Martini L’opera di Franz Brentano sulla conoscenza morale e il suo influsso in Italia
Commenti