Ovunque si manifesti la regola, noi sappiamo con certezza di essere sul piano della cultura. Simmetricamente, è facile riconoscere nell’universalità il criterio della natura: in effetti tutto ciò che è costante presso tutti gli uomini sfugge di necessità al dominio dei costumi, delle tecniche e delle istruzioni che differenziano ed oppongono i gruppi. In difetto di analisi reali, il duplice criterio della norma e della universalità fornisce il principio di una analisi ideale, che, almeno in certi casi ed entro certi limiti, può permettere di isolare gli elementi naturali dagli elementi culturali che intervengono nelle sintesi di ordine più complesso. Poniamo dunque che tutto ciò che è universale, presso l’uomo, appartiene all’ordine della natura ed è caratterizzato dalla spontaneità, e che tutto ciò che è assoggettato ad una norma appartiene quella cultura e presenta gli attributi del relativo e del particolare. Ci troviamo allora di fronte ad un fatto, o piuttosto ad un insieme di fatti, che, alla luce delle definizioni precedenti, non è lontano dall’apparire come uno scandalo: intendiamo riferirci a quel complesso insieme di credenze, costumi, norme e istituzioni, che viene sommariamente designato con il nome di proibizione dell’incesto. Infatti la proibizione dell’incesto presenta – senza il minimo equivoco e indissolubilmente riuniti – i due caratteri nei quali abbiamo riconosciuto gli attributi contraddittori dei due ordini esclusivi: essa costituisce una regola, ma è una regola che, unica tra tutte le regole sociali, possiede contemporaneamente un carattere di universalità.
C. Lévi-Strauss Le strutture elementari della parentela
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