A prescindere da quali altre influenze storiche possano aver contribuito all'elaborazione della dottrina dell'inferno, essa continuò a essere utilizzata durante l'antichità per scopi politici. Il cristianesimo l'adottò ufficialmente solo dopo che il suo sviluppo puramente religioso era giunto al termine. Quando nei primi secoli del Medioevo la Chiesa cristiana divenne sempre più consapevole e desiderosa di farsi carico delle proprie responsabilità politiche, la dottrina cristiana si trovò di fronte ad una perplessità analoga a quella della filosofia politica platonica. Entrambe cercarono di imporre dei criteri assoluti ad una sfera che appare per essenza relativa, per di più in presenza dell'eterna condizione umana per cui il peggio che un uomo possa fare ad un altro uomo è di ucciderlo, cioè di far accadere ciò che un giorno dovrà capitargli comunque. Il miglioramento di questa condizione fornito dalla dottrina dell'inferno consiste proprio nel fatto che il castigo può significare qualcosa di più della morte eterna, ovvero una sofferenza eterna che spinge l'anima ad agognare la morte. La caratteristica politica più rilevante del nostro mondo secolare moderno sembra proprio essere questa: che un numero sempre crescente di persone sta perdendo la fede nell'esistenza di ricompense e castighi dopo la morte, mentre il funzionamento delle coscienze individuali o la capacità della moltitudine di percepire le verità invisibili è rimasta politicamente inaffidabile come sempre.
H. ARENDT RELIGIONE E POLITICA
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