Durante quella serata lo spirito della signora di Bargeton
operò grandi distruzioni in ciò che lei chiamava i pregiudizi di Lucien. A
sentirla, gli uomini di talento non avevano né fratelli, né sorelle, né padre,
né madre; le grandi opere che erano destinati a edificare li votavano a un apparente egoismo, costringendoli a
sacrificare tutto alla loro grandezza. Se la famiglia soffriva in un primo
tempo per le divoranti esazioni percepite da un cervello gigantesco, più tardi,
partecipando al frutto della vittoria, riceveva centuplicato il prezzo dei
sacrifici d’ogni genere richiesti dalle prime battaglie d’una regalità
contrastata. Il genio non dipendeva che da se stesso; era l’unico giudice dei
propri mezzi, giacché lui solo conosceva il fine: doveva dunque mettersi al di
sopra delle leggi, dal moment o che era chiamato a rifarle; e inoltre, chi s’impadronisce
del proprio secolo può tutto prendere, tutto rischiare, giacché tutto è suo.
Ella citava gli inizi della vita di Bernard de Palissy, Luigi XI, Fox,
Napoleone, Cristoforo Colombo, Cesare, di tutti gli illustri giocatori
dapprincipio carichi di debiti, o poverissimi, incompresi, ritenuti pazzi,
pessimi figli, pessimi padri, pessimi fratelli, più tardi divenuti l’orgoglio
della famiglia, della patria, del mondo. Tali ragionamenti si trovavano nei
vizi segreti di Lucien e facevano progredire la corruzione del suo cuore;
giacché nell’ardore dei suoi desideri, egli ammetteva i mezzi a priori. Ma non
riuscire è un delitto di lesa maestà sociale. Un vinto non ha forse assassinato
tutte le virtù borghesi su cui posa la società, la quale scaccia con orrore
Mario, seduto davanti alle proprie rovine? Lucien, che non sapeva di trovarsi
tra l’infamia dei penitenziari e le palme del genio, aleggiava sul Sinai dei
profeti, senza vedere in basso il Mar Morto, l’orribile sudario di Gomorra.
Balzac Le illusioni
perdute
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