L’idea che l’apprendimento del linguaggio non sia un veramente un apprendimento, ma piuttosto una maturazione di una capacità innata in un ambiente particolare (un po’ come l’acquisizione del canto di richiamo da parte di una specie di uccelli, che deve ascoltare il richiamo da parte di un adulto della stessa specie per apprenderlo, ma ha anche una propensione innata ad acquisire quello specifico richiamo), conduce, nella sua forma estrema, a essere pessimisti sulla probabilità che l’uso umano del linguaggio naturale possa essere simulato con successo da un computer; e questo è il motivo per cui Chomsky è pessimista sui progetti di elaborazione via computer del linguaggio naturale, sebbene condivida con i ricercatori dell’IA il modello computazionale del cervello, o quanto meno dell’«organo del linguaggio». Si noti che questa concezione pessimistica secondo cui l’induzione non è una capacità singola, ma piuttosto la manifestazione di una natura umana complessa, la cui simulazione al computer richiederebbe un sistema di subroutines così grande che ci vorrebbero generazioni di ricercatori per formalizzare anche solo una piccola parte di esso. Allo stesso modo, la concezione ottimistica che vi sia un algoritmo (di dimensioni trattabili) per la logica induttiva è parallela alla concezione ottimistica dell’apprendimento del linguaggio: che esista un’euristica per l’apprendimento più o meno neutrale rispetto alla materia, e che questa euristica sia sufficiente (senza l’aiuto di un bagaglio intrattabilmente grande di conoscenze di sfondo fisicamente realizzate in noi) per l’acquisizione del linguaggio naturale, come in generale per l’esecuzione di inferenze induttive. Forse la concezione ottimistica è corretta; ma non vedo nessuno, né nel campo dell’intelligenza artificiale né in quello della logica induttiva, che abbia idee interessanti su come funzioni la strategia di apprendimento neutrale rispetto alla materia.
H. Putnam Rinnovare la filosofia
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