La tragedia assorbe in sé il massimo orgiasmo musicale, tanto da condurre direttamente, presso i greci come presso di noi, la musica al suo compimento; poi però le pone accanto il mito e l’eroe tragico, che allora, simile al poderoso Titano, prende sulle spalle l’intero mondo dionisiaco, liberandone noi: mentre d’altra parte attraverso lo stesso mito tragico essa è in grado di liberare, nella persona dell’eroe tragico, dall’avida spinta verso quell’esistenza, e richiama con mano ammonitrice ad un altro essere e a una gioia superiore, alla quale l’eroe combattente, pieno di presagi, si prepara col suo soccombere, non con le sue vittorie. La tragedia pone tra il valore universale della sua musica e l’ascoltatore dionisiacamente recettivo una sublime allegoria, il mito, e suscita nell’ascoltatore l’illusione che la musica sia soltanto un supremo mezzo di rappresentazione per ravvivare il mondo plastico del mito. Confidando in questo nobile inganno, essa può ora muovere le sue membra nella danza ditirambica e abbandonarsi liberamente ad un orgiastico senso di libertà, in cui come musica in sé, senza quell’inganno, essa non potrebbe osare di scatenarsi. Il mito ci protegge dalla musica, e d’altra parte solo esso le dà la libertà suprema. In compenso la musica concede al mito, al mito tragico, come dono reciproco, un così penetrante e persuasivo significato metafisico, quale parole e immagini, senza quell’unico ausilio, non sarebbero mai in grado di raggiungere; e precisamente grazie ad esso lo spettatore tragico è preso proprio da quel sicuro presentimento di una gioia suprema, a cui conduce la vita attraverso la rovina e la negazione, tanto che gli sembra di udire l’intimo abisso delle cose parlargli chiaramente.
F. Nietzsche La nascita della tragedia
F. Nietzsche La nascita della tragedia
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