
Io sono un uomo ridicolo. Loro mi chiamano pazzo, adesso. Questo sarebbe un avanzamento di grado, se tuttora non restassi per loro ridicolo come prima. Ma ormai non mi ci arrabbio più, adesso tutti mi sono cari, e anche quando ridono di me, anche allora mi sono, non so come, perfin particolarmente cari. Io pure riderei con loro, non già di me, ma per amor loro, se, a vederli, non mi sentissi così triste. Triste perché essi non conoscono la verità, mentre io la conosco. Oh, come è duro essere solo a conoscere la verità! Ma loro questo non lo capiranno. No, non lo capiranno.
Prima invece molto mi affliggevo, perché sembravo ridicolo. Non sembravo, ma ero. Io fui sempre ridicolo, e, lo so, forse fin dalla nascita. Forse già a sette anni sapevo di essere ridicolo. Poi feci i miei studi a scuola, poi all’università, ebbene?... quanto più studiavo, tanto più imparavo che ero ridicolo. Sicché per me tutta la mia scienza universitaria pareva alla fine che esistesse unicamente per dimostrarmi e spiegarmi, man mano che mi ci approfondivo, ch’ero ridicolo.
Dostoevskij Il sogno di un uomo ridicolo
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