-Ma, caro signore, cos’è romantico a questo mondo, se non lo è il Suo libro? Si spinge forse l’odio profondo contro l’”epoca attuale”, la “realtà” e le “idee moderne” oltre ciò che è accaduto nella sua metafisica d’artista? – La quale crede più volentieri al nulla, al diavolo, cha all’oggi”? Non brontola un basso fondamentale d’ira e di piacere d’annientamento sotto tutta la sua contrappuntistica arte delle voci e seduzione delle orecchie, una furente risolutezza contro tutto ciò che è “oggi”, una volontà non troppo distante dal nichilismo pratico e che pare dire «preferisco che nulla sia vero, piuttosto che voi abbiate ragione, che la vostra verità abbia ragione!»? Tenda le orecchie, caro signor pessimista e divinizzatore dell’arte, ad un solo passo scelto dal Suo libro, quello abbastanza eloquente sugli uccisori di draghi, che alle orecchie e al cuore dei giovani può suonare insidioso come un piffero magico: come? Non è questa la vera e propria professione di fede romantica del 1830 sotto la maschera del pessimismo del 1850? Questa che inoltre già prelude al consueto finale romantico, - crisi, crollo, ritorno e prosternazione di fronte ad un’antica fede, all’antico Dio…[1] Come? Non è il suo stesso libro per pessimisti un esempio di antigrecità e di romanticismo, addirittura qualcosa di “altrettanto inebriante che offuscante”, in ogni modo un narcotico, un brano di musica perfino, di musica tedesca? Ma si ascolti:[2]
Immaginiamo una generazione che cresca con questa intrepidezza di sguardo, con questo eroico impeto verso l’immenso, immaginiamo il passo ardito di questi uccisori di draghi, la superba temerarietà con cui volgono le spalle a tutte le debolezze dottrinali di quell’ottimismo, per “vivere risolutamente” in tutto e per tutto: non sarebbe fosse necessario che l’uomo tragico di questa civiltà aspirasse, nella sua autoeducazione alla serietà e al terrore, ad un’arte nuova, l’arte della consolazione metafisica, la tragedia, come l’Elena a lui dovuta ed esclamasse con Faust:
E non dovrei, con la più smaniosa violenza, trarre in vita l’unica tra le forme?[3]
F. Nietzsche Tentativo di autocritica
[1] Il «ritorno […] all’antico Dio» è il messaggio redentivo-consolatorio che Wagner annuncia nel Parsifal, mettendo così in atto il proprio “tradimento” nei confronti della filosofia nietzscheana.
[2] Il passo che segue è tratto dalla Nascita della tragedia.
[3] J. W. Goethe, Faust, II, vv. 7438-7439.
Immaginiamo una generazione che cresca con questa intrepidezza di sguardo, con questo eroico impeto verso l’immenso, immaginiamo il passo ardito di questi uccisori di draghi, la superba temerarietà con cui volgono le spalle a tutte le debolezze dottrinali di quell’ottimismo, per “vivere risolutamente” in tutto e per tutto: non sarebbe fosse necessario che l’uomo tragico di questa civiltà aspirasse, nella sua autoeducazione alla serietà e al terrore, ad un’arte nuova, l’arte della consolazione metafisica, la tragedia, come l’Elena a lui dovuta ed esclamasse con Faust:
E non dovrei, con la più smaniosa violenza, trarre in vita l’unica tra le forme?[3]
F. Nietzsche Tentativo di autocritica
[1] Il «ritorno […] all’antico Dio» è il messaggio redentivo-consolatorio che Wagner annuncia nel Parsifal, mettendo così in atto il proprio “tradimento” nei confronti della filosofia nietzscheana.
[2] Il passo che segue è tratto dalla Nascita della tragedia.
[3] J. W. Goethe, Faust, II, vv. 7438-7439.
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