Immagine, immaginato, immaginario: si tratta in tutti i casi di termini che ci dirigono verso qualcosa di criticamente originale nei processi culturali globali: l’immaginazione come pratica sociale. Non più pura fantasia (oppio dei popoli, le cui attività reali stanno altrove), non più pura via di fuga (da un mondo definito prima di tutto da più concreti obiettivi e strutture), non più passatempo per le élites (quindi non rilevante per la vita della gente comune), e non più pura contemplazione (irrilevante per forme originali di desiderio e soggettività), l’immaginazione diventata un campo organizzato di pratiche sociali, una forma di opera (nel duplice senso di lavoro fisico e di pratica culturale organizzata), e una forma di negoziazione tra siti d’azione (individui) e campi globalmente definiti di possibilità. Questo affrancamento dell’immaginazione collega il gioco della parola (in alcuni contesti) al terrore e alla coercizione degli stati e dei loro avversari. L’immaginazione è oggi essenziale a tutte le forme di azione, è in sé un fatto sociale, e l’elemento cardine del nuovo ordine globale. Ma per rendere comprensibili queste affermazioni è necessario affrontare qualche altra questione.
A. Appadurai Modernità in polvere
A. Appadurai Modernità in polvere
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