Questo forse non è ancora la cosa più forte che hanno in comune; la loro parentela sotterranea procede più lontano; tutti e tre iniziano col sospetto sulle illusioni della coscienza e continuano con l’astuzia della decifrazione, e, infine, anziché essere dei detrattori della «coscienza», mirano ad una sua estensione. Ciò che Marx vuole liberare è la praxis mediante la conoscenza della necessità; ma questa liberazione è inseparabile da una «presa di coscienza» che replichi vittoriosamente alle mistificazioni della falsa coscienza. Ciò che Nietzsche vuole è l’aumento della potenza dell’uomo, la restaurazione della sua forza; ma quello che vuole dire Volontà di potenza deve essere recuperato dalla meditazione delle cifre del «superuomo», dell’«eterno ritorno» e di «Dioniso», senza di che quella potenza sarebbe solo la violenza del di qua. Ciò che Freud vuole è che l’analizzato, appropriandosi del senso che gli era estraneo, allarghi il proprio campo di coscienza, viva in migliori condizioni e sia infine un po’ più libero e, se possibile, un po’ più felice. Uno dei primi omaggi resi alla psicoanalisi parla di «guarigione ad opera della coscienza». L’espressione è esatta. A patto di dire che l’analisi intende sostituire ad una coscienza immediata e dissimulante una coscienza mediata e istruita dal principio della realtà. Così, proprio quel «dubitante» che raffigura l’Io come un’«infelice», sottomesso a tre padroni, l’Es, il super-Io e la realtà o necessità, è anche l’esegeta che ritrova la logica del regno dell’illogico e che, con un pudore ed una discrezione impareggiabili, ha l’audacia di concludere il suo saggio sull’Avvenire di una illusione con l’invocazione del dio Logos, dalla voce debole ma instancabile, del dio non certo onnipresente, ma efficace solo col tempo.
P. Ricoeur Della interpretazione
P. Ricoeur Della interpretazione
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