La différance è ciò che fa sì che il movimento della significazione sia possibile solo a condizione che ciascun elemento cosiddetto «presente», che appare sulla scena della presenza, si rapporti a qualcosa di altro da sé, conservando in sé il marchio dell’elemento passato e lasciandosi già solcare dal marchio del suo rapporto all’elemento futuro, dato che la traccia si rapporta a ciò che chiamiamo il futuro non meno che a ciò che chiamiamo il passato, e dato che essa costituisce ciò che chiamiamo il presente proprio grazie a questo rapporto con ciò che non è tale: assolutamente non è tale, non è ciò nemmeno un passato o un futuro intesi come presenti modificati. Perché il presente sia se stesso, bisogna che un intervallo lo separi da ciò che non è tale, ma questo intervallo che lo costituisce come presente deve anche, al tempo stesso, dividere il presente in se stesso, spartendo così, insieme al presente, tutto ciò che si può pensare a partire da esso, cioè ogni ente, nella nostra lingua metafisica, in particolare la sostanza o il soggetto. Dato che questo intervallo si costituisce, si divide dinamicamente, esso è ciò che si può chiamare spaziamento, divenir-spazio del tempo o divenir-tempo dello spazio (temporeggiamento). Ed è questa costituzione del presente, come sintesi «originaria» e irriducibilmente non semplice, dunque, stricto sensu, non-originaria, di marchi, di tracce di ritenzioni e protezioni (per riprodurre qui, per analogia e provvisoriamente, un linguaggio fenomenologico e trascendentale che si rivelerà fra poco inadeguato). Che io propongo di chiamare arci-scrittura, arci-traccia o différance. Questa (è) (nello stesso tempo) spaziamento (e) temporeggiamento.
Jacques Derrida Margini
Jacques Derrida Margini
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