OLIGARCHIE: NOMINARE, ENUMERARE, CENSIRE
“O mes amis, il n’y a nul amy”.
Mi rivolgo a voi, non è vero?
- Conta qualcosa?
- Così rivolgendomi a voi, forse non ho detto ancora nulla.
Niente che sia detto in un tal dire. Niente, forse, di dicibile.
Bisogna forse ammetterlo, forse non mi sono neppure ancora rivolto. Rivolto a voi, perlomeno.
Quanti siamo?
- Come contare?
- Da una parte e dall’altra di una virgola, dopo la pausa, “O miei amici, non c’è nessun amico”, ecco due parti disgiunte di una sola e stessa frase. Un’enunciazione quasi impossibile. In due tempi. Tra loro inarticolabili, i due tempi sembrano disgiunti dal senso stesso di ciò che sembra allo stesso tempo affermato e negato:”miei amici, nessun amico”. In due tempi ma nello stesso tempo, nel contrattempo della stessa frase. Se non c’è “nessun amico”, come potrei chiamarvi miei amici? Con che diritto? Come potreste prendermi sul serio? Se vi chiamo miei amici, amici miei, se vi chiamo amici miei come osar dire ancora, e proprio a voi, che non c’è nessun amico?
Per quanto sembrino incompatibili, e votati all’annullamento nella contraddizione, ecco che, in una sorta di desiderio disperatamente dialettico, i due tempi formano già due tesi, due momenti forse, si incatenano, paiono assieme, compaiono, al presente: si presentano come d’ un sol tratto, d’un sol soffio, nello stesso presente, nel presente stesso. Allo stesso tempo, e davanti non si sa a chi, davanti alla legge di non si sa chi. Il contrattempo strizza l’occhio all’incontro, si presenta senza indugio ma senza zelo: non c’è incontro promesso senza la possibilità del contrattempo. Dal momento che ce n’è più d’uno.
Ma quanti siamo?
J. Derrida "Politiche dell’amicizia"
“O mes amis, il n’y a nul amy”.
Mi rivolgo a voi, non è vero?
- Conta qualcosa?
- Così rivolgendomi a voi, forse non ho detto ancora nulla.
Niente che sia detto in un tal dire. Niente, forse, di dicibile.
Bisogna forse ammetterlo, forse non mi sono neppure ancora rivolto. Rivolto a voi, perlomeno.
Quanti siamo?
- Come contare?
- Da una parte e dall’altra di una virgola, dopo la pausa, “O miei amici, non c’è nessun amico”, ecco due parti disgiunte di una sola e stessa frase. Un’enunciazione quasi impossibile. In due tempi. Tra loro inarticolabili, i due tempi sembrano disgiunti dal senso stesso di ciò che sembra allo stesso tempo affermato e negato:”miei amici, nessun amico”. In due tempi ma nello stesso tempo, nel contrattempo della stessa frase. Se non c’è “nessun amico”, come potrei chiamarvi miei amici? Con che diritto? Come potreste prendermi sul serio? Se vi chiamo miei amici, amici miei, se vi chiamo amici miei come osar dire ancora, e proprio a voi, che non c’è nessun amico?
Per quanto sembrino incompatibili, e votati all’annullamento nella contraddizione, ecco che, in una sorta di desiderio disperatamente dialettico, i due tempi formano già due tesi, due momenti forse, si incatenano, paiono assieme, compaiono, al presente: si presentano come d’ un sol tratto, d’un sol soffio, nello stesso presente, nel presente stesso. Allo stesso tempo, e davanti non si sa a chi, davanti alla legge di non si sa chi. Il contrattempo strizza l’occhio all’incontro, si presenta senza indugio ma senza zelo: non c’è incontro promesso senza la possibilità del contrattempo. Dal momento che ce n’è più d’uno.
Ma quanti siamo?
J. Derrida "Politiche dell’amicizia"
Commenti