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SERVETTA TRACIA


SOCR. Quello stesso, o Teodoro, che si racconta anche di Talète, il quale, mentre stava mirando le stelle e aveva gli occhi in su, cadde in un pozzo; e allora una servetta di Tracia, spiritosa e graziosa, lo motteggiò dicendogli che le cose del cielo si dava gran pena di conoscerle, ma quelle che aveva davanti e tra i piedi non le vedeva affatto. Questo motto si può bene applicare egualmente a tutti coloro che fanno professione di filosofia. Perché il filosofo in verità non solo non si avvede di chi gli è presso, né del vicino di casa che cosa faccia, ma nemmeno, si può dire, se è uomo o altro animale, ma se si tratti invece di ritrovare che cosa l’uomo è, e che cosa alla natura dell’uomo, a differenza degli altri esseri, conviene fare e patire, egli adopra in codesto ogni suo studio. Mi capisci ora, Teodoro? O no?
TEOD. Sì, capisco; e dici bene.
SOCR. Ebbene, amico mio, quando un uomo simile, o in privato o in pubblico, si trovi, come dicevano in principio, a contatto con qualcheduno; e sia costretto, o in tribunale o altrove, a ragione di ciò che ha tra i piedi e davanti agli occhi; ecco che cade anche lui, per sua inesperienza, dentro ai pozzi, e si impiglia in difficoltà d’ogni sorta, suscitando il riso – non pur delle serve di Tracia ma di tutta la gente, perché la sua goffaggine è straordinaria e gli fa fare la figura dello scimunito. Di fatti, se ha da rispondere ingiuria a chicchessia, non conoscendo egli, per non essersene mai curato, nessuna magagna di nessuno, è incapace di trovar la parola che vada dritta a colpire l’avversario, e nel suo imbarazzo apparisce ridicolo; e se ode lodare e magnificare altrui, a vederlo che ride, non già per darsi aria, ma schiettamente, lo si prende per un burlone. Così, per esempio, se sente lodare un re o un tiranno come un pastore, egli crede realmente di sentir lodare e felicitare costui come un vero pastore o di porci o di capre o di vacche, per il molto latte che ne munge: soltanto, egli pensa che il re pascoli e munga un animale un po’ meno trattabile di quelli, e più insidioso; e che per forza, con tante sue brighe, ha da essere non meno dei pastori ignorante e selvatico, chiuso tutto intorno anche lui da muraglie, come da un recinto i pastori sopra le montagne. […]
Ma quando il filosofo, o amico, riesca a trar su in alto qualcuno, il quale sia disposto, per seguir lui, a uscir fuori da questioni come questa,? In che cosa ho fatto ingiuria a te e tu a me, e a considerare la giustizia in se stessa e la ingiustizia, e la natura dell’una e dell’altra, e in che differiscono da tutte le cose o fra loro; o da questioni come, ad esempio,? Se il re è felice, e ancora,? Se è felice chi possiede ricchezze, per salire a considerazioni sulla regalità, e in genere sulla felicità e infelicità umana, di che natura sono ambedue e in che modo si addice alla natura dell’uomo procacciarsi l’una e fuggire l’altra; - ebbene, quando su tutti questi problemi debba rispondere a sua volta quel tale che dicemmo piccolo di animo e sottile e avvezzo ai cavalli dei tribunali, ecco che allora egli rende al filosofo il contraccambio: perché, sospeso, com’egli è, dall’alto, e di lassù in bilico guardando e non essendoci avvezzo, ha le vertigini, ed è pieno di inquietudini, e non sa che dire e balbetta, suscitando così il ← riso → non di servette Tracie né d’altro ignorante qualunque, i quali di nulla si accorgono, ma di tutti coloro che sono stati allevati altrimenti che come schiavi.
Platone Teeteto

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