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IPERIONE


Nella vita ci sono grandi ore. Noi leviamo gli occhi verso di esse come verso le colossali figure del futuro e dell’antichità. Combattiamo con esse una magnifica lotta e, se noi vi sappiamo far fronte, esse diventano nostre sorelle e non ci abbandonano.
Sedevamo un giorno insieme sul nostro monte, su di una pietra dell’antica città di quest’isola e parlavamo di come qui il leonino Demostene avesse trovato la sua fine, come egli qui, con una sacra morte da lui stesso scelta, si fosse aperta la via alla libertà dalle catene e dai pugnali macedoni. “Quello spirito superiore”, esclamò uno, “abbandonò il mondo quasi scherzando.” “Perché no,” dissi, “non aveva più nulla da cercare qui. Atene era diventata la sgualdrina di Alessandro e il mondo, come un cervo, era inseguito a morte dal grande cacciatore”.
“O Atene”, esclamò Diotima, “più di una volta ho pianto spingendo lo sguardo laggiù e quando, dall’azzurra penombra, mi si levava innanzi il tempio di Giove olimpico!”
“Quanto è lontano di qua?” domandai.
“Una giornata di viaggio, forse,” rispose Diotima.
“Una giornata di viaggio,” esclamai, “e io non sono ancora stato colà. Vi dobbiamo andare subito e insieme.”
“Benissimo,” esclamò Diotima, “domani avremo un mare calmo e tutta la natura è ancora nel suo pieno, verde rigoglio”.
Per un tale pellegrinaggio, sono necessari il sole e la vita della terra immortale.
Hölderlin Iperione

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