Passa ai contenuti principali

Post

Visualizzazione dei post da gennaio, 2008

VISUALIZZAZIONI BLOG

DORMI DORMI

Stai con me ancora un po' solo un momento ti pagherò Soltanto un attimo di nostalgia oppure per un attimo e poi vai via E tu Parli parli parli di "cose che passano" e poi sogni sogni sogni che poi svaniscono Stai con me ci stai o no ci stai un attimo un giorno ci stai per essere ancora mia oppure ci stai per non andare via E tu dormi, dormi mentre i miei sogni crollano e tu dormi dormi e i sogni poi si scordano Stai con me oppure no soltanto un attimo ti pagherò ci stai per essere ancora mia oppure ci stai per non andare via Ed il sole muore mentre i miei sogni crollano ed il sole dorme e i sogni poi si scordano e tu dormi dormi ora i tuoi sogni volano e tu dormi dormi mentre i tuoi occhi "sorridono" Vasco

PROSLOGION

CAPITOLO XV DIO È PIÙ GRANDE DI TUTTO CIÒ CHE PUÒ ESSERE PENSATO 1. Dunque, o Signore, tu sei non solo ciò di cui non può pensarsi nessuna cosa maggiore, ma sei anche più grande di tutto ciò che può essere pensato. Dato che si può pensare che esista una cosa siffatta, allora, se tu non sei questa cosa, si può pensare che qualcosa sia più grande di te. E ciò non può accadere. CAPITOLO XVI QUESTA È LA LUCE INACCESSIBILE IN CUI DIO ABITA 1. Certamente, o Signore, questa è la luce inaccessibile, in cui tu abiti. Certamente non esiste cosa che possa penetrare in essa in modo da vederti fino in fondo. Certamente io non la vedo, perché essa è troppo forte per me, e tuttavia tutto ciò che vedo, lo vedo per quella luce , come il debole occhio vede tutto quello che vede mediante quella luce del sole, che non può vedere nel sole stesso. Anselmo d’Aosta Proslogion

OGGETTI

Mi sono già riferita alla tendenza dell’Io infantile a dividere impulsi ed oggetti, e considero questa come un’altra delle attività primarie dell’Io. Questa tendenza a dividere risulta in parte dal fatto che l’Io primitivo manca in gran misura di coerenza. Ma, anche riferendomi ai miei propri concetti, è l’ansia persecutoria che rinforza la necessità di mantenere l’oggetto amato separato da quello pericoloso e quindi di dividere l’amore dall’odio. Infatti l’autoconservazione del bambino nella primissima infanzia dipende dalla sua fiducia in una buona madre. Separando i due aspetti e afferrandosi al buono il bambino conserva la sua fede in un oggetto buono e la sua capacità di amarlo; ed è questa una condizione essenziale per mantenersi in vita poiché, senza perlomeno una parte di tali sentimenti, il bambino resterebbe esposto ad un mondo completamente ostile dal quale avrebbe timore di essere distrutto. Questo mondo ostile verrebbe inoltre a costruirsi dentro di lui. Sappiamo che ci so

LE LEGGI DELLA VERGOGNA

Decreto Legislativo del Duce 4 Gennaio 1944-XXII, n. 2 Il Duce Della Repubblica Sociale Italiana Capo del Governo Decreta: Art. 1. I Cittadini italiani di razza ebraica o considerati come tali ai sensi dell’art. 8 del decreto legge 17 novembre 1938, n. 1728, ancorché abbiano ottenuto il provvedimento di discriminazione di cui all’art. 14 dello stesso decreto-legge, nonché le persone straniere di razza ebraica, anche se non residenti in Italia, non possono nel territorio dello Stato: a) essere proprietari, in tutto o in parte, o gestori, a qualsiasi titolo, di aziende di qualunque natura, né avere di dette aziende la direzione, né assumervi comunque l’ufficio di amministratore o di sindaco; b) essere proprietari di terreni, né di fabbricati e loro pertinenze; c) possedere titoli, valori, crediti e diritti di compartecipazione di qualsiasi specie, né essere proprietari di altri beni mobiliari di qualsiasi natura. Valerio Di Porto Le leggi della vergogna

UN'ANTICA CADUTA

Certo la filosofia – questa scena dell’idealità entro cui si svolgono le avventure del pensiero della nostra cultura – è un affare serio. Eppure essa nasce nell’eco di una risata: il primo filosofo, Talete, con lo sguardo rivolto al cielo stellato, cade nella profondità di un pozzo facendo risuonare gli scoppi di risa di una serva tracia che sottolineano la comicità di un vedere che si accompagna al rifiuto di guardare. Con tale scena inaugurale di ordinaria disavventura, il ridere entra nel teatro filosofico dalla porta di sevizio, rappresentando un ospite poco gradito e un intruso sconveniente, da tenere a bada o ricacciare nelle basse cucine del palazzo. Quasi che il riso di una giovane serva sia un abisso più profondo di quello di un pozzo. E poche saranno, infatti, le risa nella filosofia all’interno della tradizione, e ancor meno per motivi filosofici. Almeno fino alla modernità, quando Nietzsche saprà far risalire, dal pozzo del riso, la verità tutta nuda e inzaccherata dagli sc

CARL ROGERS

Il cambiamento nel modello di Carl Rogers L’assunto di base della «teoria centrata sul cliente» asserisce che se il terapeuta riesce a comunicare genuinità, empatia , stima positiva e incondizionata, allora il paziente reagirà con cambiamenti costruttivi dell’organizzazione della sua personalità. Nel 1957 Rogers scrisse un interessante articolo dal titolo «Le condizioni necessarie e sufficienti per un cambiamento terapeutico della personalità». Alcune di queste condizioni pervengono al terapeuta e consistono per l’appunto nell’offerta di comprensione, di stima e di congruenza, intesa come capacità di non negare a se stesso in quanto terapeuta i sentimenti esperiti, e di «accettare qualunque sentimento persistente che esista nella relazione» senza «nascondersi dietro la maschera della professionalità» (Rogers 1957). Altre condizioni sono di pertinenza del cliente, nel senso che quest’ultimo deve sperimentare ansia, vulnerabilità, incongruenza. Sulla base dei concetti principali formula

COSCIENZA STORICA

Non solo il concetto, ma anche l’espressione « oggetto storico » mi sembra inutilizzabile. Ciò che noi vogliamo designare con essa, non è un « oggetto », ma una unità del « mio » e dell’« altro ». Ricordo, ancora una volta, ciò su cui ho già ripetutamente insistito: ogni comprensione ermeneutica comincia e finisce con « la cosa stessa ». Ma, da un lato, bisogna guardarsi dal misconoscere il ruolo della « distanza temporale », che sta tra il cominciare e il finire, e, dall’altro, bisogna guardarsi dal compiere una oggettivazione idealizzante della « cosa stessa », come fa lo storicismo oggettivistico. La de- spazializzazione della « distanza temporale » e la de-idealizzazione della « cosa in se stessa » ci conducono, allora, a comprendere come sia possibile conoscere nell’« oggetto storico» il veramente «altro» rispetto alle convinzioni e alle opinioni « mie »: cioè, come sia possibile conoscere entrambi. È dunque ben vera l’affermazione secondo cui l’oggetto storico, nel senso autenti

ESISTERE NELL'ASSENZA DI NOMI

L’ente in quanto reale lo incontriamo non solo agendo-calcolando, ma anche facendo scienza e filosofia con le spiegazioni e le fondazioni. Di queste ultime fa parte anche l’assicurazione che qualcosa è inspiegabile. Con simili asserzioni crediamo di stare dinanzi al mistero, come se fosse pacifico che la verità dell’essere possa essere fatta poggiare su cause e ragioni esplicative o, che è lo stesso, sulla sua inafferrabilità. Ma se l’uomo ancora una volta deve ritrovare la vicinanza dell’essere, deve prima imparare a esistere nell’assenza dei nomi. Egli deve riconoscere allo stesso modo sia la seduzione della pubblicità, sia l’impotenza della condizione privata. Prima di parlare, l’uomo deve anzitutto lasciarsi reclamare dall’essere, col pericolo che, sottoposto a questo reclamo, abbia poco o raramente qualcosa da dire. Solo così viene ridonata alla parola la ricchezza preziosa della sua essenza, e all’uomo la dimora per abitare nella verità dell’essere. Martin Heidegger Lettera sull’

LA VITA SOGNATA DEGLI ANGELI

IL CIELO SOPRA BERLINO

DIFFÉRANCE

La différance è ciò che fa sì che il movimento della significazione sia possibile solo a condizione che ciascun elemento cosiddetto «presente», che appare sulla scena della presenza, si rapporti a qualcosa di altro da sé, conservando in sé il marchio dell’elemento passato e lasciandosi già solcare dal marchio del suo rapporto all’elemento futuro, dato che la traccia si rapporta a ciò che chiamiamo il futuro non meno che a ciò che chiamiamo il passato, e dato che essa costituisce ciò che chiamiamo il presente proprio grazie a questo rapporto con ciò che non è tale: assolutamente non è tale, non è ciò nemmeno un passato o un futuro intesi come presenti modificati. Perché il presente sia se stesso, bisogna che un intervallo lo separi da ciò che non è tale, ma questo intervallo che lo costituisce come presente deve anche, al tempo stesso, dividere il presente in se stesso, spartendo così, insieme al presente, tutto ciò che si può pensare a partire da esso, cioè ogni ente, nella nostra ling

REMINISCENZA

Diciamo noi che esiste un uguale? Non intendo un uguale come legno a legno, né come pietra a pietra, né nulla di simile, ma intendo un uguale che è al di là di tutte queste cose uguali e che è qualcosa di diverso da queste: insomma, l’uguale in sé. Ebbene, diciamo noi che esiste oppure no?.....E conosciamo forse anche quello che esso è in se stesso?......E da dove abbiamo appresa la conoscenza di esso? Non è forse vero che, partendo dalle cose di cui poco fa dicevamo, cioè legni o pietre o altri oggetti del genere, nel vedere che sono uguali, siamo stati spinti a pensare a quell’uguale che è diverso da questi? O non ti sembra che esso sia diverso? E considera la cosa anche da questo punto di vista: le pietre e i legni sono uguali, pur rimanendo i medesimi, non sembrano, talvolta, a qualcuno uguali e ad altri no?....E allora È mai possibile che gli uguali in sé possano apparire disuguali, e che l’uguaglianza possa apparire disuguaglianza?....Allora, non sono la medesima cosa le cose ugu

PRE-VISIONE

Tutto ciò cambia sostanzialmente appena si entra nella sfera dell’agire umano. Questo è caratterizzato, anche nelle sue forme più elementari e primitive, da una sorta di «mediatezza» che è nettamente opposta al modo di reagire proprio dell’animale. Questa trasformazione del tipo di agire si manifesta con la massima evidenza non appena l’uomo passa all’uso dello strumento di lavoro. Infatti, per inventare lo strumento in quanto tale, l’uomo deve alzare lo sguardo al di sopra della cerchia di bisogni immediati. Nel crearlo egli non agisce sotto l’impulso e la necessità del momento, ma invece di essere mosso immediatamente da uno stimolo reale egli mira a un bisogno «possibile», per il cui soddisfacimento appronta preventivamente il mezzo. Lo scopo a cui serve lo strumento comporta quindi una determinata pre-visione. Lo stimolo non proviene solo dalla spinta del momento ma appartiene al futuro, che per cominciare ad agire in questo modo deve essere in un cero senso «anticipato». Questa «p

LIBERTA'

Il concetto di un mondo intelligibile è, dunque, soltanto un punto di vista che la ragione si vede costretta ad assumere, al di fuori dei fenomeni, per pensare se stessa come pratica. Ciò non sarebbe possibile se, nell’uomo, l’influsso della sensibilità fosse decisivo: ed è, tuttavia, necessario, se non si vuol negare all’uomo la coscienza di sé come l’intelligenza e pertanto, come causa efficiente libera, razionale e attiva mediante la ragione. Codesto pensiero comporta, bensì, l’idea di un ordine e di una legislazione diversi dal meccanismo naturale che regge il mondo sensibile, e rende necessario il concetto di un mondo intelligibile (cioè della totalità degli esseri razionali come cose in se stesse): senz’altra presunzione, tuttavia, che di pensare, qui, secondo quel che esige la sua semplice condizione formale, cioè l’universalità della massima del volere come legge e, pertanto, l’autonomia della volontà, che è la sola che possa coesistere con la sua libertà; mentre, al contrario,

WINNICOTT INCONTRA FREUD

È piuttosto interessante il fatto che Winnicott ci racconti che scoprì Freud perché “non riusciva più a ricordare i sogni”. Se è vero, come apprendiamo da Roazen, che questo problema gli si presentò quando aveva 9 anni, allora dovremmo inferire che Donald già da tempo osservava attentamente la sua vita mentale e dava per scontato il fatto che i sogni si dovessero ricordare, tanto che perdere l’accesso a questo materiale costituiva per lui una specie di sintomo. Fu questo il vero evento che lo portò alla psicanalisi, o il fatto che non riuscisse più a ricordare i propri sogni era semplicemente ciò che attirò la sua attenzione, mentre qualche altro sintomo più profondo, qualche altro accesso perduto, gli creava problemi più gravi? È possibile che la vita onirica rappresentasse per Winnicott il contatto con la madre, e che alla base della sua incapacità di ricordare i sogni ci fosse la sua rabbia verso di lei. Ciò che riempiva il suo mondo interno, la riserva da cui attingeva il material

CORAGGIO

Ciò che suscita paura non è la stessa cosa per tutti gli uomini; ma noi diciamo che c’è qualcosa che suscita paura anche al di sopra delle forze umane. Questo, dunque, fa paura a chiunque: a chiunque, almeno, abbia senno. Ma le cose a misura d’uomo differiscono per grandezza, cioè per il fatto di essere più grandi o più piccole; allo stesso modo anche le cose che ispirano ardire. L’uomo coraggioso è impavido quanto può esserlo un uomo. Temerà, dunque anche le cose a misura d’uomo, ma vi farà fronte come si deve e come vuole la ragione, in vista del bello, perché è questo il fine della virtù. Aristotele Etica Nicomachea

I MALEFICI DI PLATONE

Questi individui malefici e ingiusti non si comportano come quei corridori che fanno una bella corsa dalla partenza alla metà e brutta dalla metà al traguardo? Dapprima scattano rapidi, ma alla fine diventano ridicoli, scappando via mogi mogi senza corone, mentre i veri corridori, giunti al termine, ricevono i premi e vengono incoronati. Non succede per lo più così anche per i giusti? Giunti al termine di ciascuna azione e relazione umana e della vita, non godono buona reputazione e non riportano i premi dagli uomini?.............. Quanto agli ingiusti, anche se la loro ingiustizia è rimasta occulta durante la giovinezza, per lo più si fanno cogliere alla fine della loro corsa e sono oggetto di ridicolo. Da vecchi sono maltrattati nella loro miseria da stranieri e cittadini, vengono flagellati e patiscono tutti quei supplizi che con veridiche parole definivi selvaggi. Platone La Repubblica

L'ACCOGLIENZA

In Addio ad Emmanuel Lévinas Derrida afferma che nel pronunciare il “benvenuto” si presuppone di essere a casa propria. Nei riguardi di questa presupposizione però nutre delle perplessità «appropriandosi in tal modo di un luogo per accogliere l’altro o peggio accogliendo l’altro per appropriarsi di un luogo e parlare così il linguaggio dell’ospitalità – e senza dubbio, come chiunque altro, non ho qui alcuna pretesa, ma la preoccupazione per una simile usurpazione» [1] . Derrida si propone di interpretare come Lévinas ha inteso le parole “accoglienza” e “ospitalità”. L’apertura in generale può essere pensata a partire dall’ospitalità e dall’accoglienza. Il filosofo si chiede se l’etica dell’ospitalità di Levinas può fondare un diritto e una politica. C’è uno iato o una derivazione tra l’etica, la filosofia, prima dell’ospitalità e un diritto e una politica dell’ospitalità? [1] J. Derrida Addio ad Emmanuel Lévinas Elena Ambrosini Derrida: Differenza e Cosmopolitismo, Tesi di Laurea A.A

VOLTAIRE E LE CONFRATERNITE

Se i penitenti bianchi furono la causa del supplizio di un innocente, della rovina totale di una famiglia, della sua dispersione e dell’obbrobrio che dovrebbe colpire solo l’ingiustizia, ma che colpisce invece chi viene comunque condannato; se la loro fretta nell’esaltare come un santo colui che, secondo i nostri barbari costumi, avrebbe dovuto essere trascinato su un graticcio, ha fatto morire sulla ruota un padre virtuoso, questa sciagura deve renderli veramente penitenti per il resto della loro vita. Essi e i giudici devono piangere, ma non con un lungo abito bianco e un cappuccio per nascondere le loro lacrime. Noi rispettiamo tutte le confraternite: sono edificanti. Ma quale bene possono fare allo Stato tanto grande da eguagliare il male orribile che hanno causato? Esse sembrano fondate sullo zelo che animano in Linguadoca i cattolici contro coloro che noi chiamiamo ugonotti. Si direbbe che si sia fatto voto di odiare i propri fratelli, dal momento che siamo abbastanza religiosi p

SENECA: LA FELICITA'

XIII. Finiamola dunque di mettere insieme cose inconciliabili fra loro, mescolando il piacere con la virtù: è un vezzo, questo, volto a giustificare e ad elogiare i vizi peggiori. L’uomo che si abbandona alle gozzoviglie, che rutta continuamente ed è sempre ubriaco, visto che ne gode, s’illude ce il piacere conviva con la virtù, anche perché sente dire così, per cui chiama sapienza i propri vizi e ostenta sfacciatamente ciò che invece dovrebbe nascondere. Quindi non è Epicuro che spinge questi individui alla lussuria, sono loro che, essendo dediti al vizio, celano la propria libidine nel grembo della filosofia, rifugiandosi in quella dottrina in cui si fa l’elogio del piacere. E però non si preoccupano di vedere quanto sia sobrio il piacere di Epicuro (questa almeno è la mia interpretazione), ma corrono diritti alla parola, in cui credono di trovare una giustificazione ed una maschera alle loro sfrenate passioni. E così perdono l’unico bene che gli restava, in mezzo a tutti quei mali,

DON GIOVANNI E LE SUE AMICHE

Egli ricerca tutte le donne ed è incapace di amarne una sola perché non sente alcuna esigenza di differenziazione dell’oggetto amato. È probabile secondo alcuni studiosi che molti dongiovanni siano omosessuali senza saperlo, lo sono allo stato latente, e possono morire senza mai aver saputo di esserlo. La qual cosa spiega perché non sono mai felici con una donna, pur essendo incessantemente spinti verso le donne per non essere costretti a interrogarsi su se stessi e a scoprire il proprio doloroso segreto. I. Ritocco Don Giovanni e Casanova: la seduzione tra mito e realtà

SENTENZE E INTERMEZZI

94. Maturità dell’uomo: significa aver ritrovato la serietà che da fanciulli si metteva nei giochi. 97. Come? Un grand’uomo? Ma io non vedo che un commediante del suo proprio ideale. 125. Quando siamo costretti a farci una diversa opinione su qualcuno, gli facciamo pagare a caro prezzo il disagio che così ci arreca. 132. Si viene puniti soprattutto per le proprie virtù. 136. L’uomo cerca un ostetrico delle proprie idee, l’altro qualcuno cui egli possa recare aiuto: così nasce un buon dialogo. 137. Praticando i dotti e gli artisti ci si sbaglia facilmente in direzione opposta: non di rado dietro un dotto degno di nota si trova un uomo mediocre, e dietro un mediocre artista si trova spesso addirittura – un uomo rilevantissimo. 149. Quel che un’epoca sente come male, è di solito un contraccolpo inattuale di ciò che una volta fu sentito come bene – l’atavismo di un più antico ideale. 183. Non il fatto che mi hai ingannato, ma che io non ti creda più, m’ha profondamente scosso. F. Nietzsche